venerdì 25 ottobre 2013

Vittime del quarto d'ora accademico


Ho di recente installato sul mio smartphone un'innovativa applicazione che esattamente il diciannovesimo giorno di ogni mese mi fa notare con discrezione che il mio ciclo è in ritardo di una settimana.
Grazie a questo utilissimo reminder, lo scorso sabato mattina un molesto allarme mi sveglia alle 7 per avvisarmi. Vittima di un comprensibile rincoglionimento dovuto alla scarsità di ore dormite nonché succube di una reazione a un'automatica routine settimanale, affannosamente vado per indossare il mio abituale tailleur da ufficio e mi precipito in macchina.
"Wow... Tutto libero oggi, arriverò al lavoro in orario stamattina!" gongolo tra me e me, e con sorniona disinvoltura percorro a 100 chilometri orari un raccordo miracolosamente sgombro.
A metà strada ho come un'illuminazione. Se la sera precedente mi trovavo al TGIF Party ubriaca come una cucuzza, allora c'era qualcosa che non tornava. Arrivata perplessa a destinazione, accendo il cellulare per controllare che giorno fosse.
Sabato 19 ottobre 2013, ore 8,30.
Tra la rabbia e l'imbarazzo, sgommo con desolazione davanti alle sbarre chiuse del cancello dell'ufficio e me ne torno a casa a dormire.
Ripensandoci a mente lucida, non è che in quel momento fossi particolarmente amareggiata per essermi alzata alle 7 in un giorno non lavorativo. La mia principale fonte di frustrazione derivava piuttosto dall'essere arrivata puntuale al lavoro in un giorno non lavorativo. Puntuale quando non ce n'era bisogno.
Noi colletti bianchi sappiamo molto bene quanto sia faticoso ogni mattina arrancare e districarsi fra stradine strette e alternative per evitare di imbottigliarsi nel traffico, la maggior parte delle volte con scarso successo. Si tratta di una vera e propria gara tra noi stessi e gli altri automobilisti, una corsa contro il tempo.
E, per una volta che ero finalmente riuscita a vincere, mi ero invece squalificata da sola con una falsa partenza.
Arrivare tardi a un appuntamento raramente è dovuto a una casualità. Lo può essere quando a pochi metri dal tuo muso si crea un ingorgo a causa di una macchina in panne o di un tamponamento. Oppure quando poco prima di uscire di casa ti accorgi di avere le calze smagliate e devi correre in camera a cambiarle. Lo può essere quando something comes up, quando abbiamo un contrattempo.
Ma nel momento in cui lo sporadico imprevisto si tramuta in qualcosa di sistematicamente prevedibile, ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso: il ritardatario.
Essere ritardatari rappresenta a tutti gli effetti uno stile di vita, uno schema mentale, un modus operandi a cui, nostro malgrado, non siamo in grado rinunciare.
Rappresenta la rassegnazione degli amici costretti a mentirti quando ti dicono che la cena è alle otto e un quarto, quando invece sono tutti invitati per le otto e mezza. E nonostante tutto, presentarsi alle otto e quarantacinque, con un ulteriore ritardo di quindici minuti sul quarto d'ora accademico previsto inizialmente.
Essere ritardatari significa cazzeggiare fino all'ultimo per poi impanicarsi e preparare la valigia in fretta e furia, arrivando in aeroporto mentre la hostess grida Last call all'altoparlante. E rendersi conto dopo il decollo di aver dimenticato spazzolino e deodorante sul lavandino del bagno.
Essere ritardatari significa capire nel giorno del matrimonio del tuo migliore amico che lui era l'uomo della tua vita. Quando lui stesso aveva per anni provato a baciarti plurime volte, finendo per ripiegare sulla sua vicina di casa dopo l'ennesimo duedipicche.
Essere ritardatari significa farsi un rapido giro nella News Feed di Facebook e notare come il 70% delle tue ex compagne di classe condivida quasi esclusivamente notizie pubblicate su www.moglimoderne.com, www.mammeedintorni.it, www.cometistirolacamicia.eu, www.aldessertcipensoio.vattelappesca, quando nella tua bacheca compaiono invece solo vignette di 9gag, immagini dei Goonies e video di Janis Joplin (Cryyy babyyyy... ♪♫)
Ma la vera forza del ritardatario sta proprio nel rifiuto delle regole, delle convenzioni comuni. L'affrontare la vita secondo i propri ritmi, le proprie necessità, lo spirito di voler cambiare il mondo e la convinzione di essere ancora in tempo per farlo, la spontaneità di dire "da grande voglio diventare...", con l'ottimismo e la leggerezza di un teenager.
Perché noi ritardatari saremo sempre un po' più giovani della nostra età anagrafica.
In fin dei conti, perle di saggezza popolare insegnano che a ben far non è mai tardi.