martedì 24 luglio 2012

La sottile linea invisibile dell'accollo


Quando avevo tredici anni mi piaceva tantissimo un ragazzo di nome Dario.
Tutte le mattine arrivavo a scuola qualche minuto prima delle otto e venti e puntualmente mi piazzavo davanti al cancello d'entrata. Le braccia conserte, le sopracciglia corrugate, gli occhi che nervosamente roteavano da sinistra a destra, le labbra serrate, in quella tipica smorfia da estrema concentrazione.
Pazientemente aspettavo che arrivasse Dario, solo per seguirlo con lo sguardo per pochi istanti. Giusto il tempo di vederlo avvicinarsi, passarmi davanti e poi scomparire nel portone d'ingresso.
Non mi salutava neanche, Dario, non aveva idea di chi fossi.
Eppure io sapevo tutto di lui. Quel poco che basta per potermi definire una perfetta inconsapevole stalker.
Sapevo che alle 10.35 faceva un salto al distributore a prendersi un pacchetto di cipster.
Sapevo che il mercoledì alle 11.30 iniziava la lezione di educazione fisica giù in palestra.
"Professoressa, posso andare al bagno?".
Nell'ombra della mia ossessione, vien da sé che mi assentassi dalla classe quei trenta secondi che mi permettessero di guardarlo nella sua scolastica quotidianità.

Ad una dannata festa delle medie a cui mi ero subdolamente autoinvitata sono finalmente riuscita a conoscerlo.
"Piacere".
La mano destra umidiccia, la sinistra che tentava di coprire l'apparecchio ai denti che brillava con prepotenza ad ogni mio sorriso, due peperoni al posto delle guance.
Probabilmente sarebbe stato meglio non conoscerlo affatto, povero Dario.
Soprattutto sarebbe stato meglio non cercarlo affatto il suo numero di telefono sull'elenco della sip, povero, povero Dario.
Diciassette anni fa non esisteva la possibilità di spegnere il cellulare, di ignorare un messaggio, né di "bloccare" qualcuno per potersene liberare.
I social network dei giorni nostri sono quantomeno efficienti per mantenere una certa distanza sociale con le persone che conosciamo. Nonostante il voyeurismo e gli innumerevoli effetti collaterali che ciò ne comporta.
Diciassette anni fa alzavo la cornetta e lasciavo squillare il suo telefono finché sua madre non mi diceva che Dario non era in casa.
Diciassette anni fa qualcuno doveva rispondere per forza. E io mi consumavo le dita a furia di farle roteare in quel disco di plastica che a volte si inceppava e allora eri costretto a ricominciare tutto il numero da capo.
Questo ragazzo esce sempre, pensavo.
Ne ero fermamente convinta nella mia ingenuità di teenager sfigata coi brufoli. Finché un giorno, durante la ricreazione, casualmente non ho sentito parlottare i suoi compagni di classe tra di loro.
"Chi, Erika? Quella è popo n'accollo!" Ridacchiavano divertiti, maledetti.
Con molta eleganza, mi sono voltata e sono tornata a sedermi al mio banco.
A distanza di tanti anni, provo un senso di profonda gratitudine per quelle piccole serpi che mi hanno così spietatamente deriso in quel momento.

lunedì 2 luglio 2012

L'amore ai tempi del Cubo


Paolo è un tipo estremamente comune. Capelli castani, appena rasati dietro la nuca. Non particolarmente alto. La voce vagamente atona, di quelle che al telefono stenti a riconoscere al primo "pronto". Occhi marroni, lo sguardo di uno che nasconde costantemente ciò che realmente pensa. Indossa sempre una t-shirt a tinta unita e un paio di jeans leggermente sdruciti sul fondo.
Uno come tanti, uno che passa inosservato.
Perfino il suo nome, Paolo, è nella lista dei 20 nomi maschili più diffusi in Italia.
Di fatti, appena un istante dopo avergli chiesto come si chiama, Federica l'ha già dimenticato. Non che le interessi particolarmente. Tanto Federica chiama tutti "abbello", anche il vicino di casa grasso dai capelli unti.
Solare, estroversa, logorroica. Tanto logorroica da riuscire a nascondere perfettamente la sua timidezza sotto  un mucchio di blablabla.
Capelli rossi e spettinati, occhi neri e vispi. Di statura e corporatura minuta, arriva al metro e sessanta solo grazie alla zeppa di dieci centimetri da cui raramente si separa.
Spontanea, dal buonumore contagioso.
Non può non piacere, Federica.
Nonostante il viso asimmetrico e le gambe storte.
Paolo ha decisamente una cotta per lei. Nel suo silenzio ha deciso di non esporsi nell'inutile speranza che Federica si accorga di lui. D'altronde lui è uno dei mille "abbello" senza nome. E nella velata indifferenza dei suoi saluti col bacetto lei lo percepisce come un tipo troppo noioso perché possa interessarsi a lui.
Federica ha stretto amicizia con Samuele e "unaltrapersona". Paolo... ma chi cazz'è Paolo?
Sarà uno dei tanti conosciuti al Cubo il fine settimana.
Federica si ubriaca tutti i venerdì sera, tanto che la sbronza le dura fino alla domenica. E il lunedì mattina al lavoro fatica a tenere gli occhi aperti. "Mapperché?? Eppure ho dormito un sacco ieri!"
Alcuni quesiti non meritano risposta. Non meritano neanche di essere formulati, a dire il vero.
Si ubriaca, Federica, nel tentativo di perdere le inibizioni che le impediscono di avere un contatto vagamente fisico con stavoltaggiurocheccesvolto Samuele, il barista del locale. Contatti che infine si tramutano in qualcosa di prevedibilmente patetico e disastroso.
Con la scusa di scambiarci quelle due sterili parole, tra un pezzo dei Prodigy e uno di Manson, saltella euforica verso il bancone per chiedergli di prepararle a rotazione vodka lemon, long island, invisibile alla fragola e negroni sbagliato. Alle 4 di mattina le zeppe di dieci centimetri iniziano a rivelarsi decisamente ostili.
Si getta inerme sul divanetto della terrazza del Cubo e l'inseparabile compagna di avventure Roberta la riporta a casa in macchina.
Samuele ha stretto amicizia con Federica e altrequarantottopersone. Di cui quarantatré solo ragazze di una fascia di età compresa tra i 22 e i 28 anni e come immagine del profilo un autoscatto fotoscioppato dai colori saturati al massimo.
Delle fiche, come le definisce polemicamente Federica.
Samuele non ha nulla di particolarmente bello, ha le guance scavate, la panzetta da birromane e i denti buttati lì a casaccio come un pallottoliere in un contenitore chiamato bocca, ma il fatto stesso di interpretare la parte del barista del Cubo probabilmente gli dona quel fascino irresistibile di fronte a cui Federica è costretta a ubriacarsi per poterlo minimamente affrontare.
Vederlo sorridere equivale ad andare a una mostra di Picasso, sostiene la saggia Roberta.
Il fato vuole che Samuele non si accorgerà mai di quanto sia carina Federica. Almeno fino a quando lei non si accorgerà di quanto diverso possa essere lui senza uno shaker in mano, quando improvvisamente inizierà a trattarlo con dovuta indifferenza. Esattamente come si comporta con quel tipo estremamente comune di nome Paolo.
Maledetto fato, sempre a darci contro.